Il solstizio d'inverno

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IL SOLSTIZIO D'INVERNO E LA RINASCITA DEL SOLE   (Le origini del natale)

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Le antiche feste 

bulletdALLA festa  DELLA RINASCITA  DEL SOLE AL NATALE CRISTIAno
bulletI simboli del natale (l'albero di natale e l vischio)

 

Le antiche feste 

Alla fine del III° secolo della nostra era si celebrava il 25 dicembre una festa istituita da Aureliano, che fu imperatore dal 270 al 285 D.C., il "dies natalis Solis Invicti", il Natale del Sole Invitto, ovvero la rinascita sull'orizzonte del nuovo sole che era simbolicamente morto al solstizio d'inverno, cioè era giunto al punto più basso dell'orizzonte, ma che già  il 25 era risalito percettibilmente sull'orizzonte, cioè era "rinato" e diventava  "invincibile" (invictus) sulle tenebre nelle quali era parso sprofondare poco prima. 

Ma la festa ha origini molto più antiche.  

Fin dai tempi più remoti infatti si conoscono tradizioni collegate alla rinascita del sole  che, dopo essere apparso nei giorni precedenti nel punto del massimo declino, nella sua fase più debole per luce e calore, dal 22 al 24  dicembre sembra fermarsi in cielo ( solstitiu(m) significa sole fermo) per riprendere subito dopo il suo cammino verso l'alto, ogni giorno di più, fino al solstizio d'estate dove invece si verifica il fenomeno inverso

Questo fenomeno sicuramente era rimasto impresso nella mente dell'uomo fin dalle epoche preistoriche, quando la diminuzione di luce e calore avrà fatto temere lo spegnersi della stella che assicurava la vita sulla terra e che poi, in quasi tutte le religioni antiche, fu personificata in un dio. Di qui i festeggiamenti per il suo risorgere. E come non vedere qui l'origine delle tante leggende di dei morti e risorti, a cominciare da Osiride.       

Già mille e più anni prima dell' apparizione della cometa (in realtà, secondo la teoria oggi  storicamente più accreditata, non si trattò di una cometa, ma della congiunzione triplice tra Giove e Saturno nel 7 a.c. o della supernova del 4 a.c. nella costellazione di Cassiopea) gli uomini celebravano la mezzanotte del 25 dicembre come un momento misterioso, santo, pieno di significazioni e ricco di fascino e di speranze.

Tracce di celebrazioni "natalizie" legate a queste vicende cosmiche, alla nascita cioè dell'anno nuovo, si trovano intorno alla data del 25 dicembre presso le primitive religioni persiane, fenice,siriane, peruviane, messicane, indù.  

Nella Persia antica il solstizio invernale era celebrato cantando l'inno che narrava la nascita del mondo.
In Alessandria d'Egitto esso ebbe la sua più completa espressione, prima dell'era cristiana, nella grande festa del Natale di Horus. Le statue della dea madre Iside, col piccolo in grembo o attaccato al seno(prefigurazione delle statue della Madonna che allatta il sacro Bambino), venivano portate in processione di notte verso i campi al lume delle torce. E la folla rivolgeva all'immagine una serie di  invocazioni, le cosiddette "litanie di Iside" che, nella versione greca, sembrano concordare perfettamente con le successive litanie della Madonna.

I Germani identificavano il periodo che andava da 12 giorni circa prima del solstizio d'inverno al solstizio stesso, che rappresenta la rinascita della vita, con la festa di Yule, la loro festa principale collegata al culto di Odino.

Per i Celti il Solstizio d’Inverno cadeva tra la lunazione di Dumannios ("Tempo delle Profonde Tenebre") e Riuros ("Tempo del Freddo") e le forze legate al ghiaccio e al gelo venivano considerate come generatrici di vita. La morte aveva la funzione di equilibratrice naturale, equilibratrice indispensabile per il ritorno della vita. 

In Roma pagana lo stesso significato avevano le feste d'inverno che si celebravano due o tre secoli prima della nascita di Cristo, note con il nome di Saturnali o feste di Saturno.
I Saturnali romani avevano inizio il giorno 19 dicembre e di prolungavano fino al successivo 25.
Erano feste di gioia, di rinnovamento, di speranza per il futuro e in tale occasione si rinnovavano i contratti agrari.
Nel corso dell'ultimo cinquantennio precedente la nascita di Cristo a Roma fu introdotto, portato probabilmente dalle legioni reclutate in Siria e dagli schiavi orientali, il culto solare di Mithra.

MITHRA era il dio ("persiano" in seguito) nominato fra gli dei di Stato dall' impero mesopotamico dei Mitanni. Era identificato col Sole (figlio del Sole e Sole egli stesso) già nel 1400 a.C.  Lo si festeggiava proprio il 25 Dicembre, appena dopo il solstizio d'inverno, quando l'astro fulgente, dopo il massimo declino, aveva da poco ripreso la sua ascesa celeste. Il sacro giorno della [ri]nascita del Dio Sole aveva valore magico, propiziatorio e simbolico, poiché la Stella Invitta rappresentava la luce da contrapporre alle tenebre delle lunghe notti invernali. 
Componenti essenziali della religione di Mithra erano la salute dell'anima  e l'immortalità. Il culto conosceva un battesimo e una specie  di pasto sacro, consistente in pane, acqua e vino, a ricordo dell'ultimo pasto di Mithra, che, dopo averlo consumato come atto sacrificale, salì al cielo portato dal carro del Sole per unirsi al Sole stesso.
 

In Egitto, a Heliopolis, negli stessi anni intorno al 1400 a.C., tra il 24 e il 25  del mese di dicembre (o meglio del mese corrispondente al nostro dicembre) si celebrava la festa del Sole, che era la festa (astronomica) solstiziale e, nello stesso tempo, nella simbologia sacerdotale, la festa di Ra (poi Aton), figlio del dio supremo: anche lui figlio del Sole e Sole  egli stesso.

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dALLA festa  DELLA RINASCITA  DEL SOLE AL NATALE CRISTIANO

Il Cristianesimo è riuscito a trasferire a sé tali pratiche religiose, modificando la "nascita del sole" con la "nascita di Cristo", e la "luce solare" con la "luce divina del Figlio di Dio". Il sincretismo si compì lentamente, finché la notte tra il 24 e il 25 dicembre, cioè la "nox postsolstiziale" che coincideva con l'occasione in cui ormai da secoli si festeggiava una luminosa genesi astrale, divenne anche la notte della nascita di Cristo. Insomma tra il IV° e il V° secolo la Chiesa romana, preoccupata dalla straordinaria diffusione dei culti solari e soprattutto dal mithraismo, che con la sua morale e spiritualità, non dissimile dal cristianesimo, poteva frenare se non arrestare la diffusione del vangelo, pensò di celebrare nello stesso giorno del Natale del Sole (Sole Invictus) il Natale del Cristo, come vero Sole. 

In realtà la data della nascita di Cristo è sconosciuta. Non se ne conosce esattamente l'anno, anche se sulla base di avvenimenti storicamente accertati (censimento indetto dall'imperatore Augusto nel 4 a.c., data della morte di Re Erode che si attesta nel 4 a.c.) si ipotizza che possa essere avvenuta in un lasso di tempo che va dal 4 a.c. al 7 a.c., tanto meno se ne conosce il mese.  Neppure i Vangeli lo segnalano con precisione, ma Luca allude a circostanze che fanno pensare ad un periodo diverso da quello invernale (le greggi erano al pascolo intorno alla grotta della natività e questo non poteva avvenire d'inverno, perché i pastori ebrei partivano per i pascoli con la prima luna piena di primavera, tornando in autunno) e comunque solo nel IV° secolo si consolida la tradizione di festeggiare la Natività il 25 dicembre, mentre fino ad allora si era festeggiata in diverse date, il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio, più accettabili storicamente, e il 6 gennaio (Epifania significava l'apparizione del Cristo)

Il 25 dicembre è dunque una data convenzionale, scelta in ragione di passaggi ciclici stagionali e frutto d'un processo sincretico. 

E questa sovrapposizione operata dal Cristianesimo sulle tradizioni popolari preesistenti non riguardò solo il Natale, ma anche altre ricorrenze pagane. Per fare pochi esempi: la festa di San Giorgio ha rimpiazzato l'antichissima festività della "Parilia"; i festeggiamenti di San Giovanni Battista hanno sostituito la festa dell'acqua, che era celebrata a mezz'estate; la festività dell'Assunzione della Vergine ha preso il posto delle celebrazioni di Diana; Samhain è diventata la festa di Ognissanti e via di seguito.  

Anche al giorno del riposo settimanale (primo giorno della settimana - festa di stato introdotta da Costantino nel 321) che si chiamava "giorno del sole" (dies solis) fu cambiato il nome in Domenica= giorno del Signore. Ma nei paesi anglosassoni rimase il nome che Wulfrida l'ariano (creatore della lingua tedesca) aveva introdotto e mutuato dal latino: in inglese infatti rimase Sun-day e in tedesco Son-tag.  

Ma ritornando al Natale, se è vero che discende da antiche cerimonie dedicate al Dio Sole, non deve stupire che, nonostante siano trascorsi molti secoli, gli antichi significati siano sopravvissuti. Infatti il fuoco, un elioemblema universale, è l'elemento fondamentale di numerosi rituali natalizi europei ed extraeuropei. A Natale - come per tutte le feste intorno alla fine dell'anno, Santa Lucia , San Nicola , Sant'Antonio, Capodanno, Epifania - ancora oggi si usa fare fuochi, falò e fiaccolate. Il mito racconta che Mithra stringeva sempre in mano una torcia, che rappresentava la luce e il calore che egli effondeva sul mondo. E il Bambin Gesù ha la testa circondata di raggi solari. 

E' da queste origini che risale la tradizione del ceppo natalizio, ceppo che doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio, e doveva bruciare nelle case per 12 giorni consecutivi: da come bruciava si presagiva come sarebbe stato l'anno futuro. Il ceppo natalizio ai nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi e strade.

Nelle tradizioni e ritualità della festa del Sole troviamo anche molte altre cose in comune con il cristianesimo che certamente quest'ultimo mutuò dalle prime.

Ma non solo. I collegamenti tra Cristianesimo e precedenti culti pagani vanno ben oltre. Basti pensare al battesimo e al pasto sacro dopo aver consumato il quale  MITHRA salì al cielo col carro del Sole, ma anche al banco di pietra davanti l'abside, all'altare dove veniva esposto il disco solare, all'ascesa al cielo per gli eletti. Poi c'era l'atto delle mani giunte che nel Parsismo (Zoroastrismo) era in uso nell'invocare i supremi spiriti dello Spenta Mainyu (o Amesha Spenta), i santi immortali che circondano il dio buono e supremo, creatore e giudice del mondo, che  servono umilmente per guidare le anime. Infine altri oggetti e comportamenti: la stola, il copricapo dei vescovi (si chiama ancora mitra), le vesti, i colori, l'uso dell'incenso, l'aspersorio, i lumi accesi davanti all'altare, le genuflessioni, e infine la stessa architettura delle basiliche, non ultimo l'oggetto più  rappresentativo che domina il rito cristiano: l'ostensorio in cui si pone l'ostia consacrata per esporla all'adorazione dei fedeli e che è un disco da cui di dipartono dei raggi. Peraltro,  contrariamente a quello che si  pensa, l'ostensorio della liturgia cristiana non prese il nome dall'ostia, ma accadde il contrario. Il termine esisteva un millennio prima di Cristo: "ostiare" corrispondeva a un etimo egizio (che si traslò anche nel latino) che significava  mostrare, fare vedere,  cioè mostrare il disco solare ai fedeli, ma anche mostrare la vittima del sacrificio. La liturgia cristiana conservò anche l'abbassamento del capo, perché nei primi riti di Aton all'aperto,  non era una proibizione guardare il sole, ma era solo un accorgimento, perché fissando il sole si rischia di perdere la vista. Nei successivi riti trasferiti all'interno dei templi i sacerdoti di Aton ricorsero a un disco d'oro con i raggi attorno, appunto l'ostensorio, elevato in alto (elevazione), ma l'abitudine di chinare il capo rimase, e fu poi successivamente, insieme all'oggetto, traslato anche nel rito cristiano.
Un papa, san Leone  Magno (nel 460 d.C.), sconsolato, dopo che erano passati quasi centotrenta anni dal bando del culto solare da parte di Costantino (pur essendo lui - fino alla morte - un cultore del Sole), scriveva: "..E' così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro apostolo,  dedicata all'unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all'atrio superiore, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell'astro fulgente..." Per sradicare questi ultimi residui delle religioni solari occorse quasi un millennio. Risolse il problema un monaco,  un dottore della Chiesa, san Bernardino da Siena (1380-1440). Al centro dell'altare,  invece del disco in oro luccicante, mise una teca con dentro il simbolo dell'eucaristia, il pane. 
L'ostia consacrata risale invece alla fine del XV° sec, mentre la forma dell'ostia fu stabilita all'epoca del Concilio di Trento, quando fu sancita la dottrina della presenza reale del Cristo, della messa come sacrificio e la concezione della consacrazione dell'ostia. 
Così Bernardino conciliò e accontentò sia l'adorazione solare dei pagani che l'adorazione dei cristiani. Al termine delle sue trascinanti prediche soleva mostrare una tavoletta contornata da un cerchio di raggi fiammeggianti, con al centro incise in oro le lettere JHS (iniziali dell'espressione latina che significa Gesù Salvatore degli Uomini). E la con-sacrazione ( = dal-sacrificio) era un rituale presente in tutti i riti arcaici delle antiche religioni politeistiche, monoteistiche e anche dei riti pagani più lontani nel tempo. E, attraverso  l'offerta sacrificale e la distribuzione ai presenti, la consacrazione era concepita come portatrice di speciali forze che andavano ad agire sui presenti sacrificanti e, per questo,  chiamata "communio" (cioè dividere una cosa con altri - e la cena, il pasto o la semplice assunzione  di un frammento dell'oggetto del sacrificio, era il rito per ricevere le speciali forze).

Quanto all'accostamento di Cristo al dio Sole Mithra (culto più antico dell'Antico Testamento di quasi 500  anni) fu abbastanza facile. 

Giovanni nel Nuovo Testamento affermava "...in Lui era la vita e la vita era la Luce, la Luce che splende nelle tenebre, la Luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni 1,4-5 e 9). 
Tertulliano che scrisse su quasi tutti i problemi che agitavano la Chiesa del tempo, e che coniò molti concetti  che dovevano poi essere alla base della dottrina della Trinità e della cristologia, scriveva  "...ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il Sole che sorge e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia, a dir il vero per una ragione del tutto diversa dall'adorazione del Sole" (Tertulliano, Ad Nationes I, 13).
E Tertulliano con queste parole tornava all'Antico Testamento dove  il Messia veniva preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Isaia scriveva "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande Luce e su coloro che abitavano la terra tenebrosa una Luce rifulse" (Isaia 9,1). Altrettanto scriveva Malachia "Sorgerà con raggi benefici il Sole di giustizia" (Malachia. 3,20).

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I simboli del Natale

L’abete e il vischio natalizi sono solo alcuni degli esempi più evidenti di un ricordo pagano ancora vivo e vegeto nell’inconscio collettivo. 

L'albero di Natale

L'albero di Natale, che non ha niente a che vedere con il cristianesimo, quindi con il Natale del Cristo, non è nemmeno un'invenzione recente, ma si collega a tradizioni e simbologie arcaiche, anche se la ripresa di questa usanza si ritrova per la prima volta nel 1539 in Germania a Strasburgo e diventa generale solo col XIX° secolo. 

L'albero è un culto di tutte le religioni arcaiche: è l'albero cosmico della mitologia germanica (Yggdrasil)  - e la tradizione odierna riparte proprio dai germani -, l'albero dei Veda (Asbvatta), l'albero della Vita che Dio stesso mette a dimora nel Paradiso (e da non confondersi con quello della conoscenza - Genesi II-27),  è l'albero (babilonese) dei frutti, l'albero dove i popoli primitivi (in oriente rappresentava il risveglio della natura) osservarono, proprio alla rinascita del sole solstiziale, le gemme, il mistero della cui  crescita ne ha fatto - nella fantasia delle varie religioni -  il simbolo portatore della vita in genere.

Il vischio

La pianta del Vischio, che è un parassita che affonda le radici nella "altrui scorza" e non tocca terra, veniva anche detta presso i popoli nordici la "scopa del fulmine", immaginando che tale pianta nascesse quando una folgore colpiva l'albero. E poiché la ritenevano un'emanazione divina, e, comunque, pianta magica e curativa tanto che veniva chiamata "la medicina che cura tutti i mali", i Druidi la tagliavano rispettosamente con un falcetto d'oro. 

E se il vischio oggigiorno rappresenta la sacralità del Natale e la ritualità del Capodanno, l'usanza di abbracciarsi sotto un ramo di vischio, è nata nell'antica Britannia intorno al secondo secolo a.C., tra i Druidi, i quali celebravano l'inizio dell'inverno raccogliendo e bruciando il vischio in onore dei propri dei. Rami di questa pianta, venivano poi appesi in casa per garantire un anno di fortuna e di armonia familiare. Gli ospiti che entravano in una casa si abbracciavano sotto  questo ramo di buon auspicio. E queste usanze sono giunte quasi intatte fino a noi. 

E in proposito al legame tra il vischio e i sacerdoti Druidi, così racconta Plinio il Vecchio: «Non si deve trascurare la considerazione in cui è tenuto il vischio nelle Gallie. I Druidi - così i Galli chiamano i loro maghi - credono che non vi sia nulla di più sacro del vischio e dell'albero su cui nasce, purché sia una quercia. Del resto a causa delle qualità che attribuiscono a questo albero, considerano sacri di boschi di quercia e non celebrano cerimonie se non sono incoronati di fronte ad una quercia. Pare anzi che il loro nome derivi da quello greco di questo albero. Difatti essi credono che tutto ciò che nasce su una quercia sia stato inviato dal cielo e sia segno del fatto che l'albero è stato scelto dalla divinità stessa. Il vischio, del resto, lo si trova di rado e, una volta trovato, lo si raccoglie con grande cura, secondo un rituale preciso, nella sesta notte dopo il novilunio, data che, per loro, segna l'inizio del mese. Nella loro lingua poi, lo designano con un vocabolo che significa "ciò che tutto guarisce". Secondo il rito conducono, sotto l'albero, due tori di color bianco alle cui corna si pongono legami allora per la prima volta. Poi il sacerdote, vestito di una veste candida, sale sull'albero, stacca il vischio con un falcetto d'oro e lo ripone in un panno candido. Infine immolano le vittime e pregano il dio di rendere propizio il dono. Credono che un decotto di vischio doni la fecondità a qualunque animale sterile e sia un rimedio contro tutti i veleni».

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